A Rivergaro, nel piacentino, un grande giardino, costruito intorno al XVIII era stato poi ristrutturato interamente un secolo dopo, trasformandosi in un paradiso botanico, dove le palme, gli ulivi e i cipressi si confondono con infinite varietà tropicali. Il paesaggio appenninico è fuori, nelle campagne: dentro, il giardino vive una vita tutta sua. Così, in questo caso, l’intervento di risistemazione non ha riguardato la fedeltà al paesaggio ma al “genius loci”, cioè alla specifica identità di quell’angolo di mondo. Si è trattato di un progetto per gran parte di pura archeologia botanica (ricerca d’archivio sulle antiche essenze, ripristino dei percorsi originari), di un quasi invisibile ma sostanziale intervento sull’antico. Poi, vista la richiesta dei proprietari di ampliarlo, l’intervento ha preso corpo con più evidenza: ricucitura tra vecchi e nuovi settori, ripiantumazioni, pietre a mimetizzare i salti di quota, bossi a collegare gli angoli scoperti. Tanto era già bello il giardino in se, così evidente la sua predisposizione romantica, la ricchezza delle sue piante, che Villa Bellaria si può considerare un esempio di assoluta fedeltà culturale. In questo caso la modernità non poteva essere forma ma sostanza: il luogo andava restituito alla sua primitiva natura di giardino sognato e il paesaggio intorno restare quasi in disparte. Perché al centro del progetto di un giardino c’è sempre la sua personale bellezza.