Il progetto di questo spazio verde sulle colline piacentine si è confrontato a fondo col contemporaneo.
In questo caso il paesaggio con cui rapportarsi era la casa, perché si trattava di una casa-paesaggio. Bassa, lineare, tutta vetro, in cui la natura vi entrava senza poi uscirne. L’idea guida è stata quella di connettere un’architettura così pura con un verde possibilmente altrettanto puro. Il più naturale possibile, primordiale. E quindi assolutamente non architettato. Quale soluzione è più vicina a questa idea quasi assoluta? Sicuramente il prato spontaneo. Quello che la natura produce autonomamente, senza intromissioni. Non erbe povere immesse mascherandone l’artificiosità, ma la creazione delle condizioni affinché la prateria potesse diventare matura, accogliesse tutte quelle essenze e quei semi che l’aria trasporta e mischia. Si è solo lavorato col movimento terra per rendere naturali i salti di quota dai boschi verso la casa e poi, a definire un sottile confine tra selvaggio e presenza umana, un muretto basso di cemento detta i confini di un prato tagliato all’inglese ai bordi della casa. Un breve ordine nel disordine del paesaggio naturale. Anche sul tetto sono state fatte crescere essenze spontanee e erbe grasse e mediterranee. Tra cielo e terra un’unica coltre verde avvolge la casa, un tappeto che passa dalla prateria matura, a quella in maturazione, al prato seminato, al tetto -serra.